Gli oggetti, in quanto tali e svincolati dal loro uso, mi affascinano. La forma, i colori, la consistenza, mi piacciono indipendentemente e spesso nonostante la loro destinazione d’uso. Un oggetto è poetico, per me, quando è capace di creare un immaginario, raccontare una storia possibilmente inventata e regalare bellezza soltanto per il fatto di esserci.
Forse perché sono un clown – figura artistica che per antonomasia scopre nelle cose la loro storia nascosta o se la inventa o la equivoca – amo cercare dietro a quella più evidente e manifesta, una vita diversa delle cose: forse più romantica, sicuramente patinata, filtrata” appunto. Proprio come spesso ognuno di noi sogna per la propria vita, mi piace cercare negli oggetti un’altra possibilità o un’alternativa, sperando forse di poterla dare anche a me stessa.
Un oggetto può essere poetico in sé, per forma, per contenuto, o per storia; può essere poetico solo per me o universalmente riconosciuto tale. Può diventare poetico se accostato a qualcos’altro oppure lo può diventare se raccontato in maniera diversa. Sicuramente se è poetico è perché mi regala gioia ed è capace di trasformare in qualcosa di speciale una situazione “normale”.
Ecco perché mi sono comprata il “cucchiaio specchio” o sono stata felice di ricevere in dono il “pomo della concordia”, ecco perché alla finestra c’è un prisma che crea arcobaleni mentre sulla mensola del bagno una ballerina-carillon di ceramica sta accanto al porta filo interdentale di Alessi.

Foto di Susanita (Valentina Fontanella)